Il finale della campagna elettorale di Berlusconi è stato molto aggressivo arrivando perfino agli insulti. Con un linguaggio fatto anche di continui annunci e promesse, spesso impraticabili, è riuscito a smuovere a molti indecisi.
La vittoria di misura della coalizione di centro sinistra in Italia dimostra, ancora una volta, che l’elettorato nelle società con sistema democratico stabile non ha una definizione politica di appartenenza. Quando in sociologia tra due alternative si vuole rappresentare statisticamente la casualità si assegna un 50% a cada una. Questo è proprio quanto si è registrato nelle ultime elezioni nelle cosiddette grandi democrazie occidentali, dove il caso degli Stati uniti, Germania e ora Italia confermano un elettorato indeciso.
Qual è la causa dell’indecisione? Perché la gente non sa a chi votare? Perché non si parla più di appartenenza politica? Perché le adesioni ai partiti o ai movimenti mutano con grande velocità? Il caso dell’Italia offre qualche tentativo di risposta a queste domande.
Dopo una notte convulsa nella quale i risultati si sono ribaltati più e più volte, lo spoglio si è concluso con l’assegnazione della maggioranza alla Camera dei Deputati all’Unione. L’ultimazione del conteggio del voto degli italiani all’estero ha regalato invece al centrosinistra il rovesciamento del risultato del Senato, con la conquista di 4 senatori su sei contro uno della Casa delle Libertà (CdL) la coalizione guidata da Silvio Berlusconi. Il sesto eletto è un indipendente che ha detto di voler aderire all’Unione.
Il nuovo sistema elettorale italiano, modificato in extremis da Berlusconi nel disperato tentativo di limitare i danni di una sconfitta annunciata non è stato in grado di contenerla. Alla Camera dei Deputati la differenza tra i due poli è stata di soltanto 25.000 voti (49,8% e 49,7%). Il nuovo sistema è un sistema misto, proporzionale con premio di maggioranza, cioè la coalizione di centro sinistra prenderà più di 60 deputati come premio per quel 0,1% di differenza. Per quanto riguarda il Senato queste percentuali non si misurano più a livello nazionale ma regionali. Quindi il premio di maggioranza è assegnato alla forza politica che vince in ogni regione. Il risultato è la frammentazione dei voti con premi ad una e l’altra coalizione che alla fine si trovano quasi alla pari: l’Unione 49,2% ha 159 senatori, la CdL con un 49,9 ha invece soltanto 156, grazie ai senatori eletti all’estero.
Le condizioni in cui si trova l’Italia dopo cinque anni di governo Berlusconi sono disastrose, sia da un punto di vista economico, sia dal punto di vista della qualità della democrazia. Lo stato di diritto è stato messo a dura prova. Le istituzioni sono state ripetutamente delegittimate, mentre l’illegalità, in un paese che convive con la criminalità organizzata (mafia), si è ulteriormente rafforzata.
Tra i fattori che hanno contribuito a lasciare l’Italia in queste condizioni possiamo segnalare:
Le elezioni italiane hanno dimostrato, ancora una volta, il peso che hanno acquisito i media. La campagna elettorale è stata prevalentemente combattuta nella televisione. Berlusconi è il frutto di questi media, è un personaggio che conosce molto bene il funzionamento e la capacità di convinzione che possiedono. Il finale della campagna elettorale di Berlusconi è stato molto aggressivo arrivando perfino agli insulti. Con un linguaggio fatto anche di continui annunci e promesse, spesso impraticabili, è riuscito a smuovere a molti indecisi. Il popolo che si siede ore e ore davanti alla televisione ha premiato uno come loro. La proprietà di tre canali televisivi e di una delle principali case editrici italiane, oltre che al controllo sulla Rai, hanno permesso una egemonia indiscussa in campo televisivo, radiofonico, su giornali, riviste, libri. In un paese in cui il settanta per cento degli italiani non legge i giornali il potere della televisione è stato sovrano ed ha pesantemente condizionato il voto.Il voto degli italiani all’estero ha confermato la pressione della televisione italiana e quella dei media internazionali. Mentre in Italia lo schermo è stato egemonizzato da Berlusconi, all’estero l’ex primo ministro ha raccolto prevalentemente critiche. Non si può parlare di causa-effetto, ma sì dell’influenza dei media che si esprime in una netta differenza tra il voto in Italia e all’estero. Chiusi i seggi, sommando Camera e Senato il risultato segna un distacco che arriva ad 11 a 5.
La costruzione della realtà è diventata semplice manipolazione del reale. C’è una diffusa consapevolezza dell’enorme potere che hanno acquistato i mezzi di comunicazione. Il controllo dell’informazione, prevalentemente attraverso la televisione, è continuamente il mezzo per adattare il reale alle proprie esigenze, e non le esigenze al reale. Il confronto si dà sempre più mediato, attraverso l’immagine in cui la forma prevale sulla sostanza. Il risultato è una massa di cittadini o meglio spettatori (lapsus frequente del primo Berlusconi) che restano passivi perché sanno di non contare.
La già debole identità dei partiti si è ulteriormente diluita con la formazione delle due coalizioni. Il tentativo di coprire un ampio raggio di consensi (il sistema elettorale promuove le coalizioni per avere il premio di maggioranza) ha fatto che le proposte finiscano avvicinandosi fino a confondersi. Tra un centro-destra convinto e un centro-sinistra che tende a destra, l’elezione sembra ininfluente. Le alternative non sono tali, i partiti non si differenziano, i loro progetti economici restano molto simili o comunque non contestano il modello che resta il vero protagonista. Anzi di fronte ad un centro-sinistra con un programma fotocopia di quello di centro-destra, spesso l’elettorato sceglie la versione originale.
La debolezza delle istituzioni. A livello nazionale la struttura dello Stato è spesso superata da strutture internazionali che si trasformano nel luogo delle decisioni. Lo stato nazione consegna gran parte delle proprie facoltà ad organizzazioni economiche o politiche sopranazionali. Le scelte politiche nazionali si rivelano secondarie, in quanto la politica deve accettare i parametri delle istituzioni internazionali.
La deregulation ha ulteriormente diminuito la presenza dello Stato in molti aspetti della vita sociale e politica. La funzione dello Stato arretra e non regola più gli squilibri cercando alleanze con i vincitori. I cittadini si rendono sempre più conto che non sono i politici a decidere. Lo spazio lasciato libero dallo Stato è stato occupato da gruppi di poteri in grado di imporre la loro forza. I rapporti mafiosi continuano indisturbati.
Il potere economico sovrasta il potere politico. Le idee contano sempre di meno, si dice che a decidere è il mercato. Nel caso dell’Italia l’ex primo ministro e leader della maggioranza è uno degli uomini più ricchi del mondo. Alla sua grande capacità finanziaria, che insieme al controllo dell’informazione avevano costruito il suo impero, si era aggiunto il controllo dell’apparato dello Stato. L’intreccio di poteri e interessi pubblici e privati si alimentavano a vicenda, a guadagnare era sempre Berlusconi, che negli ultimi anni al governo ha triplicato il suo patrimonio. La concentrazione del potere ha determinato un continuo conflitto tra interessi privati pubblici. Il cittadino non si sente più rappresentato dalle istituzioni perché non sono al di sopra delle parti, ma parte interessata.
Di fronte a problematiche economiche e di cambiamento nella gestione del potere l’elettore indeciso, sovrastato dalla complessità dei meccanismi, si è orientato verso candidati esterni alla classe politica con cui tende ad identificarsi. Il caso di Berlusconi è l’esempio di un uomo d’affari che si decide di passare alla politica, che cerca di mostrarsi come un outsider, come uno di loro, un uomo che non appartiene al sistema politico e che combatte contro le istituzioni.
Berlusconi ha portato il confronto elettorale ad uno scontro personale tra due figure. Le due coalizioni dovevano differenziarsi e quindi si dovevano accentuare le diversità individuali. La propaganda di Berlusconi ha concentrato i suoi attacchi agitando lo spettro del comunismo, arrivando perfino a parlare di “scontro di civiltà’, anche se Romano Prodi non è un uomo di sinistra ma un ex democristiano. Non ce stato un confronto di programma, di proposte o diverse visioni del mondo, la lotta si è limitata ad essere presente sullo schermo.
La delegittimazione delle istituzioni si è espressa per ultimo nel non riconoscimento della sconfitta e nella denuncia di brogli elettorali. Un’accusa paradossale in quanto è stato proprio Berlusconi, attraverso il suo ministro dell’interno, a supervisionarne il corretto svolgimento dei comizi. Non riuscendo nel suo proposito ha perfino proposto un decreto per ricontare tutti i voti che è stato bocciato dal Presidente della Repubblica. Abituato alla ricostruzione della realtà attraverso i media di cui è proprietario Berlusconi ha sostenuto che il vero vincitore delle elezioni era lui. Forse l’ultimo atto di un primo ministro abituato ad alterare le carte in tavola.
Il centro-sinistra non è riuscito a trasmettere il senso di un’alternativa chiara all’Italia del centro-destra. Berlusconi con la sua strategia di attacco e di drammatizzazione dello scontro a livello televisivo è riuscito a mobilitare elettori che non si recavano di solito alle urne e che di fronte al pericolo, del tutto illusorio, del comunismo montante sono andati a votare portando la percentuale a oltre l’83 per cento, una percentuale mai toccata negli ultimi decenni.
Gli italiani sperano che l’ultima scena del film di Nanni Moretti con Bersulconi che si allontana in macchina mentre dietro di lui le istituzioni vengono date alle fiamme sia soltanto l’immagine di un pericolo scampato. Berlusconi esce sconfitto da queste elezioni, ma Romano Prodi avrà molte difficoltà a governare con una maggioranza esigua, rappresentando una coalizione che esprime interessi spesso contrapposti e con l’ex primo ministro che resterà sulla scena politica ancora a lungo. Il rischio di paralisi istituzionale in un momento di grave crisi economica è dietro l’angolo.